mercoledì 9 giugno 2010

Le donne che uccidono i loro figli ottengono comprensione e sono condannate a delle cure, mentre gli uomini che fanno la stessa cosa sono accusati di omicidio e condannati a vita

Riportiamo la traduzione (curata da Centro Documentazione violenza donne) di un articolo canadese

L'anno scorso, negli Stati Uniti, sono avvenuti circa 1.300 infanticidi. Circa 500 degli autori - all'incirca alla pari fra uomini e donne - non erano i genitori. Peraltro, i padri sono stati solo 30 (!). In altre parole, le madri erano 25 volte più portate ad uccidere la loro progenie rispetto ai padri. Eppure, in qualche modo, gli uomini sono visti come più pericolosi per i loro figli rispetto alle donne. In Canada, molte statistiche di criminalità sono presentate in modo tale da nascondere la malvagità femminile. Ad esempio, le statistiche di omicidio di bambini non sono suddivise per sesso dell’autore. Di conseguenza, queste informazioni non sono disponibili. Tuttavia, non vi è alcun motivo di ritenere che le cose siano diverse a nord del confine [rispetto agli USA, ndt].

Questo trattamento di favore alle donne non si limita all’uccisione di bambini. Rose Cece e Mary Taylor, una coppia lesbica di Toronto, decise di uccidere per gioco un agente di polizia. Fosse stata una coppia maschile, sarebbe stata condannata per omicidio di primo grado, quasi senza neanche considerare i fatti; in caso contrario, le associazioni di polizia in tutto il Paese sarebbero insorte. Invece, Cece e Taylor furono condannate per omicidio colposo e nessuno alzò la voce.

Spesso le donne sono lasciate fuori con la condizionale. Il primo cittadino di Ottawa disse a proposito di un caso di omicidio: "La condanna di Lilian Gatkate, assassina confessa di suo marito, a due anni meno un giorno di domiciliari, è un insulto al nostro senso di giustizia naturale". L'assassina reagì alla sentenza dicendo: "Ero confusa. Ho preso la vita di qualcuno e non vado in galera. Certo che sono sorpresa da tutto ciò". Ancora una volta, la Procura non fece appello.

Sfuggire alla pena per omicidio

Questa riluttanza a condannare le donne assassine risale a molto tempo fa. In realtà, è la ragione dell’invenzione del reato d'infanticidio, al volgere del secolo scorso. Le giurie rifiutavano di condannare le donne che uccidevano i propri figli. O i loro genitori, sembrerebbe.
Lizzie Borden prese un'accetta
diede a sua madre quaranta colpi
Quando vide ciò che aveva fatto
ne diede a suo padre quarantuno [ndt: ballata nordamericana]
Ciò che la canzoncina non menziona è che la giuria di Boston, nel 1892, rilasciò Lizzie libera. Una delle ragioni principali è che il giudice, come nel caso di Lilian Gatkate, diresse praticamente la giuria ad assolverla.

Solo due donne sono state condannate per omicidio di primo grado in questo Paese: Yvonne Johnson uccise un uomo che appena conosceva, Sarabjit Kaur Minhas strangolò il proprio nipote.

La discriminazione dei giudici a favore delle donne non è limitata all’omicidio: accade per tutti i reati. Ufficialmente le donne commettono il 15% dei crimini gravi in Canada: molto probabilmente un dato che sottovaluta la realtà. Qualunque sia il numero reale, esse costituiscono circa l'1% delle persone nelle nostre carceri. Le statistiche in Texas indicano che le donne commettono frodi più spesso degli uomini. Malgrado ciò, gli uomini trascorrono detenzioni dieci volte più lunghe per questo reato, rispetto alle donne.

Sembra che ci sia un radicato rifiuto ad ammettere che le donne sono capaci di commettere crimini. Quando lo fanno, si tende a sminuire l'atto ed a vederle come le vittime, non come le carnefici. Sul caso Johnson è stato scritto un libro: il titolo è “La vita rubata”; indovinate a chi appartiene la vita che l'autore sente derubata? Non è quella dell'uomo ucciso.

Mentre il femminismo può essere solo parzialmente responsabile di questo rifiuto, la risposta sembra essere più remota. I genitori di Lizzy Borden furono uccisi molto prima della comparsa di questa forma di follia collettiva. La realtà è che la gente, in tutte le società, assume che la femmina della specie debba essere protetta, anche dalle conseguenze delle proprie azioni.

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